L’appassionato esploratore che voglia mettersi in viaggio alla scoperta dell’antica anima rurale di Ischia per arrivare alla meta e respirare il genius loci della viticoltura della terra vulcanica dai generosi frutti deve allontanarsi dalla costa e volgere il passo verso “Mer ‘e copp”, quella parte alta dell’isola, tra i comuni di Serrara Fontana e Barano, così chiamata in un linguaggio intriso di cultura greca (“méros”= “parte”) e popolare (in dialetto napoletano «n’copp» sta per “sopra, in alto”), che conserva ancora importanti testimonianze dell’evoluzione della tradizione enoica locale.
Siamo nel versante Sud dell’Isola, dove sorge l’antichissimo borgo contadino di Calimera, un nucleo d’abitazioni, stalle, cellai, disposti su livelli digradanti di una zona collinare il cui nome denota una chiara origine ellenica e il cui significato, “buongiorno” o “posto felice”, ricorda l’esposizione dell’areale al sole e ai venti, perfetta per la coltivazione della vite.
Ai suoi piedi una distesa di filari su terrazzamenti dal suolo tufaceo e roccioso, parracine che disegnano il paesaggio a 450 metri sul livello del mare, guardando di fronte il monte Epomeo e, allargando l’orizzonte, il mare e l’Isola di Capri: è Tenuta Kalimera, vigna che Pasquale Cenatiempo gestisce insieme ad una suggestiva cantina del 600 scavata nella collina di tufo verde.
Visitarla significa non solo scoprire il territorio e una tra le produzioni vinicole più identitarie dell’isola ma anche toccare con mano una testimonianza preziosa dell’archeologia enoica di Ischia, oggi fiore all’occhiello di una realtà a conduzione familiare che muove i primi passi nella prima metà del ‘900.
La storia della famiglia Cenatiempo
L’avventura della famiglia Cenatiempo nel mondo vinicolo inizia nel 1945 con una piccola cantina sulla riva destra del porto di Ischia dove il padre Francesco imbottiglia vino sfuso, un’attività che vira verso la produzione nell’immediato dopoguerra, negli anni 50, quando Angelo Rizzoli realizza le prime grandi strutture ricettive rendendo il territorio sempre più attrattivo ed esacerbandone la vocazione turistica.
Non c’è nessuna vigna proprietaria intorno alla quale costruire un progetto ma rapporti con i contadini dell’isola per il conferimento delle uve il cui quantitativo diventa sempre maggiore considerato l’incremento esponenziale della domanda di vino. Negli anni 70 nasce l’azienda di trasformazione con la prima linea di imbottigliamento.
Alla morte del padre è Pasquale, unico dei quattro fratelli cresciuto in cantina, a prendere in mano le redini dell’azienda, continuando a muoversi nel solco fino a quel momento tracciato. Nel 2007 la svolta: decide di gestire direttamente le vigne che ormai i proprietari fanno fatica a curare con continuità data la natura impervia del territorio, aggiungendo alla conduzione enologica anche quella agronomica, condizione che influenzerà anche gli aspetti produttivi.
Inizia un nuovo corso per quella che diventerà l’attuale Vigna Kalimera, con una revisione dell’impianto, originariamente orientato alla produzione massiva con piante legate ai pali di castagno a creare una fitta parete fogliare. Il primo anno viene dedicato alla potatura introducendo l’allevamento a Guyot per filari di Piedirosso e Biancolella e si introduce una conduzione biologica seguita dal passaggio al biodinamico con un approccio che riguarda solo la terra, con l’utilizzo di corno letame e sovesci, ma lascia fuori la cantina.
Anno dopo anno si allarga anche lo spettro delle terre gestite fino ad arrivare all’attuale assetto con 6 ettari e mezzo di vigneti divisi in 17 appezzamenti, quasi tutti sul versante Sud Ovest dell’isola, tra Lacco Ameno e Forio, dove la raccolta avviene prevalentemente a mano, considerato che siamo in territorio di viticoltura eroica, per una produzione complessiva che oggi si attesta sulle 100 mila bottiglie.
La cantina di Tenuta Kalimera
Varcare la soglia della cantina di Tenuta Kalimera ed avventurarsi nella grotta scavata nel tufo verde risalente al 1600, dove le luci si fanno fioche e il passo lento, equivale a compiere un viaggio nel tempo alla scoperta delle antiche tecniche di vinificazione e conservazione del vino, un itinerario che si sviluppa immediatamente sotto le vigne, un ambiente dove la suggestione cresce, specie quando si arriva a comprendere la vastità degli spazi che l’uomo è riuscito a ricavare dalla collina.
Di fatto in una struttura sono comprese tre cantine collegate tra loro, a testimoniare quanto fosse intensa la produzione vitivinicola in questa parte dell’isola, con aree destinate alle botti di cui restano un numero di esemplari di gran lunga inferiore a quello dei tempi antichi.
L’esplorazione è un vero e proprio salto in un passato non troppo recente, come testimoniano alcuni documenti in possesso della proprietà che datano l’origine di quella che può considerarsi oramai una delle poche grandi strutture sopravvissute alla riconversione e dove ancora oggi si possono ritrovare elementi comuni alle altre cantine dell’isola di quell’epoca.
È possibile riconoscere la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, utilizzata per la pulizia dei locali e delle attrezzature che venivano sterilizzate nell’acqua bollente ottenuta nelle caldaie; Il palmento, una vasca di fermentazione utilizzata già in età ellenistica e romano imperiale, che trovò diffusione nell’isola; la pietra torcia, pesante masso tufaceo con tre fori, uno alla sommità e due ai lati, utilizzato per spremere le uve con un complesso sistema di funi e di leve, prima che il torchio entrasse nell’uso comune dei vignaioli isolani e la ventarola, un foro praticato nel soffitto che consentiva agli ambienti delle cantine di rimanere ventilati. Nel caso di Tenuta Kalimera date le sue dimensioni, è rappresentato da un tunnel di 20-25 metri che fa incanalare l’aria dal versante della montagna dove non arriva il sole per garantire una temperatura bassa e costante.
E ancora spazio alla simbologia, quella della tradizione contadina, con croci che campeggiano sulle pareti ad indicare un’uscita o la presenza di un muro portante, un linguaggio ancestrale e condiviso tra le popolazioni per consentire la continuità dei progetti. Quando si torna alla luce è come se si spezzasse un incantesimo ma è solo il primo forte impatto. C’è una degustazione ad attendere i visitatori, un altro viaggio sta per cominciare, quello tra i profumi e i sapori dell’isola raccolti in un calice.
I vini
Restituire nel calice l’identità e l’essenza dell’isola. È probabilmente questo il tratto distintivo dei vini di Pasquale Cenatiempo che ha scelto dal punto di vita agronomico di puntare sui vitigni autoctoni come Per ‘e Palumm, Biancolella e Forastera dando spazio anche alla Guernaccia, antico vitigno presente in un fazzoletto di dieci filari e oggetto di interessanti sperimentazioni, mentre da quello enologico di costruire un mix tutto personale tra le moderne tecniche di vinificazione e quelle più tradizionali, oggi per alcuni considerate arcaiche.
In cantina si interviene il meno possibile sui mosti, utilizzando solfiti in quantità minime e affidandosi al controllo delle temperature di fermentazione. Grazie all’esperienza dell’enologo Angelo Valentino l’affinamento avviene in vecchie vasche di cemento che vengono alternate con quelle in acciaio.
L’obiettivo è quello di dar vita a vini che esprimano la natura vulcanica e marinara dell’isola, dando spazio a mineralità, sapidità e ai sentori della macchia mediterranea, una volontà premiata dalla critica che da anni riconosce i vini di Cenatiempo come eccellenza ischitana.
E così nella degustazione dopo l’esplorazione della tenuta non può mancare l’assaggio del “Kalimera”, biancolella in purezza che nasce dalle uve della omonima premiato nel 2019 da Decanter tra i 50 migliori vini al mondo. Al naso, sentori di frutta matura e macchia mediterranea con note di ginestra, al palato pieno, minerale e persistente ma anche del brioso “Per e Palumm” dal colore rosso rubino, fruttato e floreale, la cui trama tannica delicata lo rende particolarmente beverino.
Esperienze nel calice che si traducono in un messaggio potente capace di riportarti sulle colline dell’Isola Verde inebriate dalla brezza marina semplicemente chiudendo gli occhi e lasciandosi andare alle sollecitazioni della memoria.
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