Le chiusure serali confermate per ristoranti, enoteche e wine bar e le limitazioni contenute nel DPCM del 16 gennaio scorso per arginare la crescita dei contagi da Covid-19, rappresentano l’ennesima doccia gelata sul tentativo delle imprese vitivinicole di guadare al post pandemia con fiducia.
Le restrizioni, che pare siano destinate ad acuirsi nelle prossime settimane, rischiano di far naufragare, se non addirittura affondare, ogni tentativo di tenere in piedi una filiera che tira avanti in un clima di sempre maggiore incertezza.
Se è vero infatti che la Grande Distribuzione Organizzata ha visto crescere le vendite di vino in misura significativa durante la pandemia, va anche sottolineato che tali incrementi non hanno riguardato le piccole e medie aziende, specie quelle vocate a produzioni di qualità, che storicamente escludono per posizionamento questo canale prediligendo quello tradizionale, in particolare le enoteche.
Sono le aziende che rappresentano la maggioranza del tessuto del settore vitivinicolo e che vivono più di tutte la crisi e gli effetti delle restrizioni. I grandi gruppi, le aziende quotate, le cooperative che godono di fonti di finanziamento diverse oltre ad una distribuzione multicanale, hanno infatti trovato nella GDO come nell’export una camera di compensazione per le perdite.
Come sostenere dunque, anche in prospettiva, lo zoccolo duro della produzione vitivinicola di qualità del nostro paese?
Difficile proporre una ricetta, magari ce ne fossero. Risposte concrete però dal governo potrebbero arrivare.
Come quella invocata dal presidente dell”associazione delle Enoteche italiane Vinarius, Andrea Terraneo, che con una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Conte ha chiesto di rimuovere il divieto di vendita per asporto dopo le ore 18 da parte delle enoteche introdotte dall’ ultimo DPCM.
Il tutto considerato che tale divieto non interessa la grande distribuzione, scelta difficilmente giustificabile da un punto di vista socio sanitario considerato che tutte le enoteche stanno operando da mesi con massimo rigore e attenzione alla tutela della clientela e nel rispetto delle normative.
Le enoteche rappresentano uno dei nodi principali della catena del valore delle aziende vitivinicole italiane di fascia medio alta.
Definirle come luogo deputato alla pura vendita sarebbe riduttivo dal momento che costituiscono un incubatore capillare di cultura del vino del nostro paese.
Nell’ambito del canale Horeca rappresentano un vero e proprio trait d’union tra i produttori, di cui si fanno interpreti e portavoce appassionati, e il cliente al quale tengono a raccontare vita morte e miracoli delle produzioni selezionate come se fossero proprie creature.
Negli ultimi anni, il loro ruolo è evoluto in questa direzione anche perché alla vendita si è affiancata la mescita, con momenti e spazi destinati alle degustazioni, attività sospese ormai a tempo indeterminato a causa della pandemia.
Grande è la cura e l’attenzione che gli enotecari dedicano alla definizione del proprio assortimento e nel ricercare novità che possano andare incontro a clienti sempre più curiosi e desiderosi di accrescere la propria competenza in materia di enogastronomia.
E’ grazie a loro che, senza andare troppo lontano da casa, è possibile scoprire realtà di nicchia, con produzioni numericamente contenute ma di grande qualità, e si possono acquisire nozioni sui diversi terroir di cui è ricco il nostro paese.
È difficile incontrare un enotecario che viva con distacco la propria attività e che non abbia entusiasmo e trasporto nel descrivere il mondo che c’è dietro ogni bottiglia.
Per tutti questi motivi gli appassionati considerano l’enoteca al pari di un luogo di culto e il confronto con l’enotecario nella scelta dell’etichetta da acquistare un rito al quale è particolarmente difficile rinunciare.
Durante il lockdown e negli ultimi mesi le enoteche hanno rappresentato per tante piccole e medie aziende italiane di grande valore e qualità, distanti per scelta di posizionamento dalla Grande Distribuzione Organizzata, l’unico canale fisico per restare in contatto vivo e diretto con i clienti finali e per garantire una percentuale seppur minima di vendite.
Non si comprende di fatto la scelta del governo di discriminarle rispetto alla GDO, per questo si aspetta una risposta da parte di Conte che apra almeno uno spiraglio in uno scenario che promette ancora aria di tempesta. Le aziende ne hanno bisogno per coltivare uno degli ingredienti che più manca in questi mesi: la fiducia.
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